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Sharon, Ariel.

Militare e uomo politico israeliano. Proveniente da una famiglia di immigrati russi (il suo cognome originario è Shinerman) con forti simpatie sioniste, entrò giovanissimo nell'Hagana' (embrione di quello che, con la nascita dello Stato di Israele, sarebbe diventato l'esercito). Compì una rapida e brillante carriera che lo portò nel 1953 a dirigere l'unità speciale 101 contro il terrorismo - che si macchiò di una serie di spedizioni del terrore, tra cui l'attacco di Qibya in Giordania, dove perirono 69 persone civili - e nel 1964 all'incarico di generale comandante del Comando Nord. Distintosi per acume tattico nella guerra dei Sei giorni (1967), nel 1969 in qualità di generale comandante del Comando Sud procedette alla fortificazione della Linea Bar Lev e svolse una parte attiva nella guerra contro l'Egitto del 1969-70. Con l'entrata in vigore del cessate il fuoco, nel 1971 S. si concentrò nella lotta contro il terrorismo palestinese nella Striscia di Gaza. Tuttavia i suoi metodi eccessivamente violenti gli valsero la condanna del Tribunale militare, che lo sollevò dall'incarico. Dimessosi dall'esercito nel 1973 per prendere parte alle elezioni nelle file del Partito liberale, lavorò alla creazione del Likud, ma, allo scoppio della guerra del Kippur, riprese il servizio militare attivo, mettendosi ancora una volta in luce per le sue capacità strategiche, oltre che per la sua ben nota insubordinazione ai comandi dei superiori. Eletto alla Knesset nelle file del Likud (dicembre 1973), nel 1975-76 fu consigliere speciale per la Difesa del primo ministro laburista Yitzhak Rabin, incarico che lasciò nel 1976 per dare vita a un nuovo partito denominato Shlomzion, fusosi poi con Herut. Nominato ministro dell'Agricoltura e presidente della Commissione interministeriale per gli insediamenti israeliani nei Territori nel Governo Begin (1977), S. promosse un programma di insediamento dei coloni in aree urbane e rurali della Cisgiordania, riscuotendo consensi tra il suo popolo e avviando di fatto la sua ascesa politica. Assunto l'incarico di ministro della Difesa (1981), nel 1982 caldeggiò l'invasione del Libano allo scopo di rimuovere l'OLP da Beirut e dalle zone meridionali del Paese, rendendosi inoltre responsabile della strage di migliaia di Palestinesi nei campi profughi di Sabra e Chatila. Condannato per tali azioni dalla Commissione d'inchiesta istituita in Israele, su pressione dei media e dell'opinione pubblica fu costretto a rassegnare le dimissioni dall'incarico di ministro (1983). Caduto il Governo Begin, nel Gabinetto Shamir S. ottenne il dicastero dell'Industria e del Commercio (1985-90) e quindi dell'Edilizia e delle Abitazioni (1990-92), accelerando il piano di insediamento ebraico in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza e a Gerusalemme e prodigandosi in un massiccio sforzo edilizio per dare alloggio alle masse di immigrati che dal 1989 si riversarono dall'URSS in Israele. Dopo un quadriennio all'opposizione, con i Governi Rabin e Peres, in seguito all'elezione a premier di Benjamin Netanyahu (1996) S. venne nominato ministro delle Infrastrutture e quindi (1998), proprio alla vigilia della partenza del premier per Wye Plantation (V. ISRAELE e STATI UNITI D'AMERICA), ministro degli Esteri al posto del dimissionario David Levy. Dopo le elezioni del 1999 vinte dal laburista Ehud Barak, Netanyahu si dimise e S. assunse la leadership del Likud. Nel 2000 la sua visita alla Spianata delle moschee a Gerusalemme innescò la miccia per l'esplosione della seconda Intifada. L'escalation di violenza che ne derivò convinse gli Israeliani a votare, nelle elezioni politiche del febbraio 2001, per S., favorevole a una linea di dura repressione nei confronti dei Palestinesi. Fin dal suo insediamento a primo ministro l'ex generale attuò la tattica della rappresaglia per rispondere agli attacchi suicidi palestinesi, rifiutando qualsiasi spazio di dialogo con il presidente dell'ANP Yasser Arafat, considerato colluso con il terrorismo. La condotta repressiva del Governo S. venne premiata alle elezioni anticipate del gennaio 2003, che decretarono il netto trionfo del Likud e del premier. A maggio, nel tentativo di trovare una soluzione politica alla questione mediorientale, il primo ministro israeliano si dichiarò disponibile a dialogare con il neo premier palestinese Abu Mazen ed espresse il proprio assenso all'adozione della "Road Map" (V. ISRAELE e PALESTINA). Nel 2005 fu tra i promotori del piano finalizzato allo sgombero dei coloni israeliani insediatisi nelle Striscia di Gaza e di alcune colonie in Cisgiordania. Questo nuovo atteggiamento scatenò le critiche delle frange ebraiche più oltranziste e provocò profondi dissidi all'interno del Likud, il partito di cui S. era leader. Nel mese di novembre S. uscì dal Likud e costituì il nuovo partito di centro Kadima (che in ebraico significa "avanti"). Ricoverato in ospedale nel dicembre 2005 per un leggero ictus, nel gennaio 2006 fu colpito da una grave emorragia cerebrale. I poteri furono trasferiti al vice premier, il ministro delle finanza Ehud Olmert (n. Kefer Malal, deserto del Negev 1928).